L'UOMO IN VERDE E LA RAGAZZA VESTITA DI FIORI

Roma. Neanche le undici del mattino di un venerdì fresco. Il Giardino degli Aranci è un palcoscenico di storie. Una coppia di anziani litiga perché nessuno dei due ricorda il codice della banca da inserire nel cellulare. Più in là un artista appende i suoi disegni vicino agli alberi, e un cane gli gira attorno. Un simpatico custode con una maglia gialla e grandi baffi passeggia guardingo con i suoi occhiali appesi sulla pancia. Ad un certo punto strane note di una chitarra scendono dagli alberi. La seguo. È un ragazzotto un po' grande. Sta sotto i gradini della terrazza, e pizzica le corde. Non so che musica sia, ma è leggera, sospesa. Mi viene da pensare "Quando non sai cos'è, è Jazz!". I turisti sono un puzzle di colori e provenienze. Un insieme di storie e capelli al vento. Poi, come per uno strano sortilegio, mi capita di vederne due. Non penso siano turisti. Avanzano dal cancello centrale e fermano pure il vento. Non posso fare a meno di guardarli. Sono una figlia e un padre. Lui ha il viso perso, come se non sappia dove si trova. Ha una polo verde chiaro sotto un completo verde acqua stirato con cura, come fosse messo sopra un manichino. E infatti lui quasi non si muove se non per qualche stentato passo verso il Belvedere. Non ha barba, né capelli. È tutto asciutto, eppure mi ricorda così tanto un'antica divinità dei fiumi. Ha un Panama che gli fa ombra sugli occhi. Qui il sole è alto, e credo proprio che lui non esca molto da casa. La figlia ha un abito che arriva poco sopra le caviglie. È azzurro e costellato di fiori rosa scuro e giallo. Tiene l'anziano genitore per la mano. Sembrano pattinare sulle note strane della chitarra venuta da chissà dove. Quando lui arriva all'estremità della terrazza, lei gli lascia la mano. Lui si poggia un po' sul davanzale e si lascia abbracciare dal panorama. Chissà, mi chiedo, se riconosce il luogo dove forse è nato. La figlia lo accarezza. Prende il cellulare, si scatta delle foto con lui. Lui si lascia guidare come un bambino. E stanno in silenzio, a guardarsi negli occhi, con Roma che li guarda dal basso. La chitarra continua per qualche altro minuto, e io comincio a scrivere. Quando la musica finisce, alzo lo sguardo, ma di quell'antico e stanco Satiro di fiume e della figlia trapunta di fiori nessuna traccia. Mi chiedo se non me ne sono accorto mentre si avviavano. Forse sono comparsi con la musica e con la musica sono svaniti. In tutto ciò, il pittore ha finito di esporre i quadri, e il simpatico guardiano non trova più gli occhiali.