LA VALLE DELLE UMANE COLPE

04.10.2021

Mi trovai immerso in una foresta di rami bianchi e sottili, che dal terreno si allungavano verso il cielo. Un fittissimo reticolo di rami che non permetteva di vedere oltre un metro e neanche il cielo. Piccole pietre di ferro facevano da sabbia e il vento che fischiava nel fitto intreccio muoveva, come in una macabra danza, quei lunghi bastoni sporchi di fango.

- Dove siamo? -

Chiesi alla mia guida che vedevo viaggiare luminosa poco distante da me.

-Questa lamentosa foresta è stata creata dall'uomo-

Rispose malinconico.

-E quella che schiacci non è ghiaia. L'uomo lo chiama piombo. Sotto questi cumuli giacciono i corpi degli uomini che Madre Guerra ha strappato alla vita. Dai loro scheletri si allungano, come a cercare il cielo, le ossa sottili delle dita, fino a formare lunghi rami bianchi. Questa è la foresta dove non esistono diversità. Bianco, nero, anziano, giovane, donna o uomo, tutti irriconoscibili per la forma umana ma accomunati dal cielo verso il quale tendono le lunghe dita-

Poco più avanti vidi mutare i rami di colore e materiale e il terreno farsi più morbido, senza più alcuna traccia dei piccoli ferri assassini. I rami che ora non erano più lunghe ossa bianche, bensì bastoni di picche. Lance e frecce stavano conficcati su cumuli di corpi ora più alti ora più bassi. In alcune parti sembravano montagne altissime, in altri baratri dove i cadaveri facevano da pareti alle cavità, come se il terreno stesso fosse composto solo da corpi. A quel punto ebbi il dubbio che sotto di me non ci fossero solo cadaveri, ma secoli di storia.

-Quelle che vedi - disse la mia guida - Sono gli antichi morti dei vecchi imperi. Nei secoli lance e frecce hanno trafitto uomini liberi, e uomini schiavi di uomini liberi. Qui sono raccolte le ultime gocce di sangue dell'umanità. L'uomo spinge le sue lance verso il basso e i corpi sotto di noi, per cercare il cielo, allungano le loro dita verso l'alto, in un continuo ciclo di morte e speranza, come il sole che rincorre la luna, come chi risponde con la violenza alla violenza-.

In quella fittissima foresta, memoria di secolari battaglie e trionfo di umane sconfitte, aleggiava un fetore ferroso simile al sangue, come se l'aria stessa fosse nutrita dalla decomposizione degli uomini che nolente calpestavo.

-Segui la mia luce - disse la mia guida-

-Ora che hai visto queste cose, ti condurrò fuori da questa mortifera selva, e andremo in un altro posto- 

Detto così mi condusse ai confini di quel luogo. C'era una porta avvolta dalle fiamme alta come i rami di quella foresta, con spine sugli stipiti e spuntoni di ogni tipo. Mentre la porta si apriva con stridio di denti e unghia su pietre, e mostrava la vista di un alto monte lontano, la dolce voce della mia guida si raccomandava.

-Ogni passo che faremo ci condurrà al sovrano che vive in questo luogo corrotto. Egli vive al di là di questo monte. Voglio mostrarti il suo volto, perché tu riconosca la colpa nei suoi occhi- 

Mi lasciai dietro quei rami dolorosi e seguendo la mia Sophia, giunsi oltre le fiamme di quel bosco, lasciando Madre Guerra alle mie spalle. Uscito dalla porta di fuoco, vi fu davanti a me una valle sterminata dove non crescevano piante o fiori. Il terreno andava dal grigio chiaro al grigio scuro ma mai bianco e crepe profonde lo spaccavano in più punti. Sottili lingue di fumo strisciavano fuori dalle fessure e impestavano l'aria di un puzzo simile allo zolfo e tuttavia il naso non si stupiva più degli occhi, perché loro non ne vedevano la fine. Quella valle così cupa non aveva limiti. Disse la mia guida, se un immortale vi avesse camminato, lo avrebbe fatto per l'intera durata della sua vita, perché ha dimenticato dov'è la fine. Solo pochi istanti dopo sentii un rumore a me familiare. Acqua. Un corso d'acqua fangosa e di colore opaco, non molto distante da me, scendeva dal monte e tagliava la valle in due. Assetato e stanco corsi verso di esso, poi, inorridito, arretrai. Corpi nudi e svuotati della vita, senza distinzione di sesso, colore della pelle o età, venivano portati dal corso d'acqua verso non so dove, tutti ammassati l'uno sull'altro, tanto che pareva ci fossero più corpi che acqua. Alle sponde di questo fiume c'era altra gente, viva ma morta nello sguardo, che si dissetava senza sosta.

-Questo è il fiume delle umane debolezze, a questo corso affluiscono i mali che l'uomo compie a se stesso-

-Dove trovano riposo questi che un tempo furono persone?- Domandai vedendo i copri trascinati.- Dove finisce il fiume?- Chiesi alla mia Sophia.

-No. Non hanno riposo. In questa terra non c'è riposo, qui non c'è salvezza. L'uomo non se ne ricorda e quindi non la può trovare-

-Si ricordano almeno da dove vengono?-

- Si. Tutti sanno da dove vengono. Quello è il luogo che volevo mostrarti, li risiede il Male più grande. Segui la mia luce. Ti conduco io. Seguiamo la sponda del fiume fin lassù, dove respira il Sovrano di questa terra-

Seguimmo, controcorrente, il fiume lungo quella valle vuota di ogni vita, camminando e camminando e camminando. Lungo le sponde del fiume, quasi al cominciare della salita del monte, c'era, poco distante dal corso principale, quello che pareva essere un altissimo Salice nero con fronde tristemente bianche. Ogni foglia di ogni ramo distillava gocce d'acqua piccolissime. 

-Cosa piangono questi rami?- Chiesi alla mia guida.

-Piangono. Piangono e basta. Piangono le lacrime degli uomini e delle donne che per paura del ridicolo non le mostrano. -

-Perché l'uomo ha paura del ridicolo?-

-Perché non vuole ammettere a se stesso di essere debole per natura e pensando che le lacrime siano segno di debolezza, le cela, non capendo che quella è la vera debolezza dell'uomo. Ostentare continuamente ciò che non è. Perché ogni volta che ammetti la tua debolezza, acquisisci la forza per superare i tuoi limiti, se la celi resti prigioniero delle catene che t'imponi. Ogni volta che non piangi per dimostrare la forza che non hai, lui piange per te. Ammira, l'Albero dell'Umana Debolezza! Ammira l'Orgoglio!-

E fui sotto di esso, profumava di lacrime e superbia. L'acqua che scendeva dai rami formava un sottile fiumiciattolo che affluiva al grosso fiume di quella valle. Con paura e tanta confusione seguii la mia guida, verso le più alte parti del monte, dove mi accorsi che c'erano altri affluenti che provenivano da altri luoghi del monte, ma uno fra tutti mi impauriva di più: L'affluente principale del fiume, quello più alto, da dove mi pareva di veder scendere i corpi senza vita.

Salendo sempre più in alto, giunsi alla foce del secondo affluente. Era un posto avvolto da una nebbia bianca e densa e poco riuscivo a vedere oltre i miei passi. Sentivo solo che i miei piedi stavano sul bagnato. Chiesi -Dove siamo?-

-Questa è la Valle della Paura. Non temere però! Nessuno ti farà del male. Qui l'uomo fa male solo a se stesso. Osserva!-

Rimasi qualche istante fermo e vidi la nebbia diradarsi lentamente. Potei scorgere delle figure umane immobili e tremanti. Erano centinaia e centinaia! Feci un passo per osservarli meglio ma improvvisamente tutti mossero un passo dietro come per nascondersi dalla mia vicinanza.- Di che male hanno paura costoro?-

-Di nulla. E di tutto. Della morte, della vita, non fa differenza. Temono e basta. Anche di guardarsi, anche fra di loro si temono. Ogni cosa che si muove provoca in loro paura e questo stato di terrore provoca in loro una perenne immobilità. Il sudore che gronda dalle loro fronti per la continua tensione scivola a formare il secondo affluente del fiume -Allora mi mossi contro uno di loro con voce tranquilla, ma, nonostante la pace in cui venivo, questo scappava lasciando il suo sudore dietro di lui.- Non temere di impaurirli; avrebbero paura ugualmente di cento altre cose. Segui la mia luce. Andiamo oltre-

Così detto la seguii, ma tormentato da tremendi dubbi chiesi

-Perché l'uomo ha paura?-

-Per lo stesso motivo per cui non piange. Celato dietro l'orgoglio umano, esiste una piccola consapevolezza di mortalità e imperfezione-

-Può l'uomo non avere paura?-

-Se fosse immortale, se fosse perfetto, non conoscerebbe la paura. Neanche questo posto era perfetto, sembrava a molti, ma non lo era; anche lui era mortale e imperfetto, visto che l'uomo ha potuto distruggerlo. Ricorda, ciò che è perfetto non conosce distruzione-

-Questo posto quindi non è stato sempre così?-

-No. Questo posto era un dono meraviglioso, fragile, ma meraviglioso. Un dono che l'uomo non ha saputo meritare-

-Ma quindi questo luogo non è il luogo delle pene, non è l'inferno!-

-Hai capito bene. Questo non è l'inferno. È la terra come l'uomo l'ha ridotta. Anche dell'uomo è rimasto ben poco, solo il

male che ha lasciato dietro di sé e dentro di sé. - 

Quando capii di non essere sceso all'inferno, ma di trovarmi sulla terra, che fu anche casa mia, ebbi paura e temetti di restare fermo con i miei compagni di terrore, lì nella Valle degli Impauriti.

-Perché allora mi mostri queste cose? Qual è lo scopo di questo viaggio?-

-Non fermarti come loro. Non avere temere di avere paura. Il fine dei nostri passi è di mostrarti la salvezza. Quella che l'uomo ha dimenticato-

Confidando nella saggezza della mia Sophia, mossi passi lenti e tremanti fino a che la nebbia degli Impauriti fu dietro i miei occhi e con lei la paura stessa. Come lasciai alle spalle i due affluenti del grande fiume, mi avvicinai alla fonte del terzo. Questo era fatto di sangue scuro e denso e proveniva da una radura dove camminavano uomini e donne senza volto e senza vestiti e col petto aperto al centro. Fiotti di sangue si riversavano da quegli squarci tremendi fino a formare l'affluente. Quelle persone camminavano a testa alta, senza vedere chi avevano davanti. Spesso si scontravano gli uni con gli altri e si sporcavano reciprocamente con gli schizzi di sangue, tanto che nessuna parte del loro corpo era pulita.

-Quale male si fanno costoro?-

-Costoro sono malati di superbia. Altezzosi come sono, hanno gonfiato il loro petto tanto da farlo esplodere-

-Cosa li spinge alla superbia?-

-La negazione della loro debolezza. Per non ricordarsi di essere fragili, si fingono diversi dagli altri e poi finiscono col crederlo davvero. Questa è la radice del loro male. Si aggrappano ai loro talenti perché, nella loro convinzione, pensano che, senza di loro, sarebbero uguali a cento altri. Ma andiamo avanti adesso. Non diamogli troppo importanza. È l'unico modo per tentare di guarirli. E andammo oltre quelle Superbe Fontane.

Lasciando quei superbi alle mie spalle e i loro petti squarciati dal loro male, seguii un'altra striscia di sangue che saliva su una parte della montagna. Lì sorgeva il quarto affluente. Faticavo a salire quei tortuosi sentieri. Ne risentivano le mie giovani gambe e mi mancava il respiro. La mia Luce si fermò davanti un grosso masso franato dall'alto della montagna.

-Il luogo che vedrai adesso è quello che più mi fa soffrire. Un posto dove l'uomo non mi permette di entrare. Osserva bene le cose che vi accadono; io ti aspetterò dall'altra parte. Non smettere mai di seguire la mia luce, sarà al di là di questo luogo. Non perdermi mai!-

Così detto sparì con tutta la sua lucentezza. Senza di lei temetti di perdermi per sempre in quel luogo di mali umani. Poi, nella paura della perdizione, mossi i primi passi e vidi cose tristi e tremende. In quel luogo cupo c'erano profondissime crepe nel terreno, precipizi, crateri e sottilissimi spuntoni simili ad aghi fuoriuscivano dalla sabbia, accompagnati da rovi neri come la pece. Una folla di gente senza occhi camminava nella vana speranza di non pungersi i piedi. A volte li mancavano, ma spesso si aprivano lunghi squarci nelle caviglie e nei polpacci, tanto che dalla vita in giù erano tutti una piaga, senza pelle, solo ossa e muscoli. Quel sangue si univa al fiume delle umane debolezze, creando così il sesto affluente, quello che Sophia temeva tanto da non potervi accedere e poiché lei non c'era io avevo paura. Sentivo urla di gente che non vedendo i grossi crateri ci finivano dentro rovinosamente, e mai seppi dove finiva quel baratro buio. Nel pieno del terrore vidi non poco lontano da me una luce fioca e più mi avvicinavo più questa aumentava di intensità. Capii all'istante che si trattava della mia Sophia e corsi verso di essa. Il mio stato di vedente mi consentiva di non ferire alcuna parte del corpo, né di sprofondare nelle crepe e nei crateri di quel terreno sanguinoso. Un urlo più forte degli altri mi fece voltare. Uno dei ciechi, trafiggendosi un piede con un grosso spuntone che lo aveva passato da parte a parte, aveva inciampato, finendo in un groviglio di rovi terribili che gli sfregiarono il viso e il collo, aprendo squarci profondi che vomitavano fiotti di sangue.

Chiusi gli occhi a quel quadro, ma poi ricordai che erano gli occhi chiusi a creare il male di quel luogo che non comprendevo e aperto il mio sguardo andai verso la luce. Sophia mi aspettava alla fine di quel luogo.

-Hai capito?-

-Forse. Se tu non c'eri, era il luogo senza saggezza-

-Il male che li acceca e li squarcia è l'ignoranza. Il più terribile dei mali, più terribile della morte stessa. Un luogo dove non mi è permesso di sostare. Loro non mi vogliono e perciò non posso aiutarli. Qui sorge la radice di ogni piaga. Se a questa sorgente si mesce la fede, nasce il fanatismo, se si mesce il potere, nasce la tirannia, se vi si mesce la libertà, nasce il Caos. Forse, se non ci fosse questo male, questo luogo non sarebbe in questo stato. L'uomo non sarebbe in questo stato- Allora piansi.

-Andiamo via da questo luogo. Non piangere per l'ignoranza, loro si sono già persi. Piangi per i loro figli, e opera affinché i loro occhi vedano sempre! Ora seguimi ... siamo sempre più vicini. -

Arrivammo dunque, seguendo la scia dell'ultimo affluente nel luogo più alto della montagna. Ecco, li c'era un cratere i cui bordi formavano qualcosa di simile ad un pozzo e in questo ribolliva dell'acqua il cui odore, stranamente, mi ricordava quello del mare. Ma i brividi che mi percorrevano la schiena non erano nulla in confronto all'orrore che di lì a poco si sarebbe manifestato. Con un rumore simile a quello di un uomo quando soffoca e poi vomita, così quel pozzo tremendo rigurgitava corpi nudi e senza vita di persone. Donne e uomini senza differenza di età o di colore erano gettati da quella gola giù nell'affluente. Ebbi un presentimento, ma volli tacere per pudore.

-Non ti stupire. Hai già riconosciuto che acqua è questa. È 'acqua di un mare bellissimo che si trova esattamente dall'altro lato della terra. Questo mare è fonte di storia incredibile e proprio al centro di questo c'è un'isola dove il sole non dorme mai, perché vive nei cuori della gente che la abita. Da altri luoghi, però, fugge la gente da morte e distruzione certa, e per raggiungere la salvezza su quella terra, naviga le splendide acque di questo mare bellissimo e disgraziato. E così lo chiamo perché per quanto è bello, tanto è affamato di vita. Molti muoiono tra i suoi flutti, per fame, per sete, o per disperazione; cosi il mare se li mangia, nessuno scava per loro tombe di uomo! In molti stanno a guardare, e nessuno li salva. Questo è il Pozzo dell'Indifferenza. I corpi che il mare mangia e la gente non accoglie, questo cratere li vomita. Ecco. Questo è l'ultimo affluente, il più alto dei mali dell'uomo, Ammira l'Indifferenza!-

I miei occhi, come quel pozzo, vomitavano lacrime.- Perché esiste questo male? Cosa porta l'uomo a generare questa tremenda piaga?-

-La loro memoria fallace. Non ricordano che in passato anche i loro antenati sono fuggiti dalle disgrazie dei propri paesi e come questi corpi senza vita, anche loro speravano di trovare salvezza. L'uomo non si vede nei panni di un altro uomo in difficoltà, se la difficoltà non è la sua, e questo, ragazzo mio, distrugge l'umanità della gente, rendendo i cuori degli uomini come pugni di ghiaccio. Guardati da tutti i mali, dall'ignoranza, dalla paura, dalla superbia, dall'orgoglio, ma soprattutto guardati dall'indifferenza. È questo il più terribile dei mali che l'uomo ha riservato per la sua stessa specie. Continuammo a camminare stanchi verso la cima del monte. Passo dopo passo, nei miei pensieri si formavano immagini su immagini della divinità che di lì a poco avrei visto. Quali fasti, quanti orpelli creavo attorno alla statua d'oro che si dipingeva nella mia testa! Per quanto strano possa sembrare, ero quasi felice ed eccitato dalla mia futura scoperta. Più mi avvicinavo e più non sapevo cosa potevo trovarmi davanti. Poi, come oltrepassai la soglia di una strana nebbia che ricopriva tutta la cima

-Fermati- Disse la mia guida -Prima di andare oltre, ti prego, guarda l'ultima volta dietro di te- E girandomi vidi dietro di me tutto il male dell'uomo in una sola immagine. Giù, oltre i miei piedi, gli affluenti che formavano il Fiume delle Umane Debolezze. Vidi gli Impauriti, i Ciechi, i Superbi e gli Orgogliosi e tutti gli altri infelici sotto di me, e nonostante la mia altezza rispetto a loro, con loro soffrivo e piangevo. Poi volsi lo sguardo ad un rumore dietro di me. La nebbia fu spazzata via da una folata di respiro e come una tenda, si aprì il sipario sul mistico e perfido sovrano di quel triste luogo.

-Ecco, mio diletto! Ecco colui che regna qui!- 

Davanti a me una gigantesca figura d'uomo. Non aveva fattezze o tratti distintivi, ma aveva un naso qualunque e una bocca qualunque. Nessuno sguardo particolare, ma due comunissimi occhi, il cui colore non riuscivo a distinguere per l'eccessiva altezza. Un uomo. Un comunissimo uomo. Io, con tutta la mia altezza, arrivavo quasi alla caviglia. Aveva una tunica d'oro stracciata in più punti e una corona sopra la testa, fatta da ossa, denti e crani.

-Un uomo, mia Luce? -

-Un uomo. Un uomo e basta. Nulla più di un uomo. Eppure aveva la possibilità di essere una razza suprema. Migliore fra tutte. Ecco la stirpe perfetta! Ecco la sua rovina. -

-Cosa posso imparare, io che sono uomo, dallo sbaglio dell'uomo, se la terra non ha speranza. -

-Ti ho detto che ti avrei mostrato la salvezza. Guarda!-

Mi condusse per mano tra i giganteschi piedi del malvagio sovrano, e lì, all'ombra di quel mostro, un germoglio di vita sconosciuta. Un fiore piccolissimo era sbocciato da quell'inferno che era la terra. Una speranza respirava, non vista dagli uomini, sulla cima di quella montagna.

-Come respira questa vita in quest'aria di morte? Cosa significa? Che speranza? Quale dio? -

-Il Dio che tutto può. La Vita! L'uomo ha creato dei per ogni cosa e ha dimenticato l'unica vera divinità esistente che li ha generati: La vita. Vedi quel germoglio di speranza? E' la vita che si prepara a risorgere. Il destino dell'uomo è quello di distruggere ciò che gli appartiene, distruggere se stesso. La vita andrà comunque avanti, e non so se l'uomo rientra nei suoi progetti. -

-Questa è la salvezza che volevi mostrarmi? La fine dell'uomo?-

-No. La salvezza di tutto è la Vita. E la vita non è mai la fine di qualcosa, ma la continuazione di qualcos'altro. L'uomo appartiene alla Vita, un piccolo ingranaggio all'interno di un immenso orologio; eppure ti dico che se l'uomo ha creato tutto quello che hai visto, questo piccolo fiore, che semplicemente vive e basta, ha più diritto di un uomo di vivere. Questo fiore merita di appartenere alla Vita più dell'uomo che ha tentato di distruggerla.

E ora chiudi gli occhi. Il tuo viaggio finisce qui. Torna nella tua casa, e vivi meritando la tua esistenza-

Disse questo.

Poi fu il buio. 

Salvatore Riggi
ATTORE, REGISTA, AUTORE
 
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