FINO ALLA FINE
La libertà di sorridere

Interrompo momentaneamente i racconti sui miei spettacoli per esprimere un mio personalissimo pensiero. Sono giorni particolarmente complicati da spiegare, e non mi riferisco al Covid19. Da qualche parte nel mondo esiste l'Afghanistan, sotto il sole di terre lontane dall'Italia. Da quando gli eserciti Americani e affini se ne sono andati, i Talebani hanno conquistato Kabul e con lei tutta la regione. Ci troviamo davanti una delle crisi umanitarie più sconvolgenti di sempre. Un tuffo nel medioevo. Una nuotata dentro un oceano fatto del sale delle lacrime di quelle madri coraggiose che hanno lanciato i figli oltre i muri dell'aeroporto nella speranza che qualcuno, i più fortunati, potesse portarli via. Ecco, però, che da oltre quell'oceano indicibile ci arriva una storia che paradossalmente profuma di speranza e di libertà. C'era un uomo, un uomo di una certa età. Ha i capelli ricci e molte rughe. Il viso scarno e gli occhi furbi. La prima volta che lo vedo è in un video in cui tiene le mani dietro la schiena. Ha il copricapo tipico di quelle zone, ma non so come si chiami. Lui si chiama Khasha Zwan. È un comico. Nel video dove lo conosco, lui ha le mani dietro la schiena perché è ammanettato. È circondato da uomini armati di lunghi fucili. Uno lo schiaffeggia due volte. Eh, sì! Khasha Zwan deve essere zittito con la violenza perché il suo lavoro non è fare ridere e basta. Lui deride i Talebani, e lo fa per il popolo Afghano, che ha bisogno di sorridere. Vengo a sapere che il video non è affatto recente. È venuto fuori da pochissimo, ma risale a luglio. Khasha Zwan è stato fra i primi martiri dei Talebani. Forse è la prima mossa intelligente da parte di quest'orda di barbari estremisti. Hanno individuato la pericolosità di chi usa la risata per tirare a terra i potenti, e soprattutto i prepotenti. Hanno riconosciuto il pericolo. Un pericolo più dannoso delle armi. L'Arte. Nel video lui viene malmenato perché fa un gesto di coraggio estremo. Ride. Deride. Non smette di prenderli in giro nonostante sa cosa sta per capitare. Khasha Zwan viene ritrovato con la gola tagliata e con evidenti segni di brutali torture. Non ha smesso di fare il suo mestiere neanche di fronte alla morte. Sembra tanto contraddittorio rispetto a quello che ho detto prima, quando parlavo di speranza e di libertà. Vedete, Khasha Zwan ci ha regalato l'immagine più bella dell'Arte, ma lo ha fatto al prezzo della sua vita. L'Arte è rivoluzione. È resistenza. L'Arte non si inginocchia, e non perché sia presuntuosa. L'Arte è sacra. È divina. Il Teatro nasce come rito religioso e non ha mai perso il suo fattore mistico. Poi è vero che negli anni ci sono stati dei, per così dire, "falsi profeti". Attori che hanno reso il Teatro un mero mezzo commerciale dimenticando il suo fine ultimo: Il Pubblico. Quel pubblico che necessita grandemente di capire, di conoscere, di imparare, di aprire la mente, di esorcizzare le paure, di detronizzare i prepotenti dalle loro poltrone fatte di terrore e di pregiudizi. Khasha Zwan è morto da Artista. È morto come chi sa cosa vuol dire fare Arte. Non è un mestiere. È una missione. È il sacrificio di una vita. Chi vi racconterà un'altra storia che non sia questa vi sta mentendo. Chiunque vorrà seguire la strada dell'Arte nella sua vita deve necessariamente essere consapevole di questo. Khasha Zwan lo sapeva. Ne era consapevole. Ha creduto nel potere della risata fino all'ultima goccia di respiro. Ecco perché questa storia ha il sapore della libertà. Perché un uomo dall'altra parte del mondo ci ha regalato la fotografia più limpida e chiara dell'Arte. Di fronte a Lei impallidisce la prepotenza, la dittatura, l'orrore, la paura, la tortura, la censura. L'Arte vanifica l'esistenza della morte. Il Mietitore diventa una cosa piccolissima di fronte l'immensa sacralità dell'Arte, che per quanto mi riguarda è il dono più alto che l'uomo potesse ricevere. Mettetevelo in testa una volta per tutte. Sui palchi si fa la rivoluzione. Siamo resistenza. Ciao Khasha. E grazie.
